La cioccolata buona

«Mio marito è un imprenditore a capo di una piccola-media impresa tra quelle che continuano a fallire e il tasso dei suicidi che impenna. Un suicidio ogni due giorni e mezzo leggevo sul giornale».
Aveva scelto me per raccontarsi l’attraente donna che, da due anni a quella parte, si era messa a fare la vita, nella più dolce Svizzera, senza mai fermarsi dopo l’orario di lavoro piegato alle sue esigenze personali, e gli appuntamenti che si susseguivano nella prima parte della giornata, volendo l’intero pomeriggio libero per dedicarsi alla sua famiglia nei ruoli più confacenti di moglie e madre. Soltanto una volta si era soffermata più a lungo al di là della frontiera, pensando di fare la scorta del cioccolato migliore al mondo, nell’intento (non riuscito) di addolcire suo marito. Arrabbiato e mortificato, era venuto a conoscenza del mestiere più antico che anche lei praticava nel paese dove, prostituirsi, era legale e meglio regolamentato. Aveva preferito non nasconderglielo:
«Perché quando i problemi ti toccano da vicino, il tuo modo di pensare e agire è diverso. Fai di tutto per il bene delle persone che ami. Lui non era d’accordo. Ci sono state discussioni accese dopo la mia decisione. Ma quando le banche ti perseguitano, la tensione a casa è inevitabile e si discute per un nonnulla ad ogni pretesto insignificante. E stare zitti, non dire niente, non è vero che significa acconsentire. Ho preferito dirglielo dall’inizio. Non volevo sapesse di tradimento a lungo andare».
E lei, che faceva tutto alla luce del sole, perlomeno non aveva la rogna di dover rivendere i regali dei clienti, potendoli tenere con sé, senza vanti eccessivi. Le tornavano utili per ingannare le apparenze, non lasciando capire agli altri quanto se la passassero male, potendo continuare a fingere. Costretta e decisa quanto prima a smettere davanti un’alternativa di vita stabile e sicura, mostrava una spavalderia invidiabile. Non poteva non piacerti, bruna e slanciata, cinquantadue anni difficili da supporre, ventisette di matrimonio felice alle spalle e gli ultimi 25 mesi a varcare il confine per mantenere la tranquillità di qualche tempo prima:
«Prima del patatrac sotto l’aspetto economico. Ha pianto quando ha dovuto licenziare i suoi dipendenti, puoi scriverlo. Lui si è tirato su solo. Testardo e di parola ha voluto sposarmi dopo essersi laureato per andare a vivere insieme e formare una famiglia nostra sin da subito anche se per me, restare incinta, è stato un calvario. L’unico studente che io conoscessi con uno stipendio sostanzioso ancor prima di avere un lavoro. Ha sempre avuto un forte senso pratico della vita e ora si sente sminuito, l’ho ferito. Io ho provato a fare altro. Però, non assunta, nel bisogno, sono stata sfruttata anche tra le conoscenze del nostro vecchio giro. Ma di questo, ho preferito non informarlo».
Quando ripose alla mia domanda sul fatto di emigrare battendo da un’altra parte, compresi il rispetto che nutriva nei confronti del padre di suo figlio:
«È più facile per lui pensare di uomini che non ho possibilità di rincontrare. Che non possono entrare nelle altre nostre sfere e resta meno difficile, non sto dicendo bello, svolgerlo nei paesi dove prostituirsi è legale. Pagando le tasse, hai la pensione un domani, disponi dell’assistenza medica e, cosa non da poco, hai una sicurezza maggiore in fatto di uomini. Tutto sembra meno squallido per quanto, la sostanza, resti la stessa: sei una squillo. Ma come si suol dire occhio che non vede, cuore che duole e, in parte, è vero».
«Capita di eccitarsi?»
«Quando i clienti non indugiano. Alcuni si ostinano a non capire e falsano i rapporti che hai con loro. Tolgo la fede al dito. Sanno degli altri uomini però, stupidi, non lo pensano mai che anche tu hai un uomo e lo ami pure se ti prostituisci. Batti oltralpe perché Re Giorgio chiede sacrifici».
«Al pari della regina Maria Antonietta che in Francia, si dice, consigliasse le brioche al posto del pane al popolo morente di fame. Ma, in questo caso, pare sia stato tutto inventato per screditare una regina, in verità, tutta da redimere».
«Che vita difficile dobbiamo avere e lui, non mi facilita con il suo rancore. Non lo riconosco. Mi manca l’intimità, l’intesa che avevamo ed io non sono più un’adolescente per darmi all’autoerotismo. Non ho mai pensato di tradirlo. Si vergogna di me, e mi odia per questo».
«Hai dei ripensamenti e ti senti a disagio con questi uomini: i clienti?»
«Non lo faccio per piacere. Mi preoccupo solo che a loro non manchi niente. La speranza non ti porta ad agire e ti posso garantire che non è un bancomat per fare carburante, prendere farmaci e cibo. Ho colpe perché non voglio che ci manchi niente?».
«No affatto», la mia risposta conclusiva e l’intervista raccolta interamente a matita.