L'avvocata

A differenza di Anna, prestata come una bambola ai giochi brutti di adulti inquieti e infelici, la wing woman accompagnatrice figurava, piazzandosi piuttosto bene, nella categoria di quelle che si proponevano a peso d’oro. Merito pure dei titoli accademici conseguiti e raccolti in ordine cronologico sul suo curriculum da professionista referenziata, considerando gli studi con cui collaborava, «quasi a titolo gratuito» disse come a volersi giustificare, visibilmente pentita di aver accettato a raccontarsi. Sofia (nome fittizio) guadagnava così tanto che, volendo, avrebbe potuto cessare la sua attività forense in tronco. Ma la prostituzione era da lei considerato il mezzo per non rinunciare alle sue ambizioni in termini di avvocatura. Inoltre, sempre a differenza di Anna, vantava «una clientela non pidocchiosa, elevata ed erudita». I suoi clienti non erano certo di quelli a cui bisognava far capire certe cose. Spiegare come funziona il mondo. (Quel mondo). Figurarsi che loro le pagavano ogni cosa ancor prima che lei avesse messo piede fuori casa per raggiungerli in un ristorante sofisticato, andare in un locale rinomato con la sicurezza fuori all’ingresso e il proprio nome «nella lista dei vip, delle persone che contano» aveva sottolineato, per apprestarsi a concludere la prestazione in un albergo a cinque stelle. Tenne a precisare più di una volta che non era una escort «classica», di essere svincolata da ogni tipo di agenzia e di lavorare secondo un modus operandi confacente al suo modus vivendi:
«Sono io a selezionare gli uomini che rispondono al mio annuncio».
I suoi clienti, facoltosi e generosi, non li accompagnava in un nessun posto, «da nessuna parte», rifiutando proposte comprensive di trasferte e lei, «l’avvocata», così che preferiva essere chiamata in merito alla sua prima professione, li pretendeva di gradevole aspetto e cultura superiore alla media in un paese dove, pure il più istruito, aveva seri problemi con il congiuntivo e il condizionale all’interno dello stesso periodo. «I tipi che non penseresti mai siano disposti a pagare» e che, vedendoli a suo fianco, li avresti pensati, «li pensi più che altro colleghi interessanti. Amici intimi, di letto, non uomini con cui scopi una tantum» mi aveva spiegato, a testimonianza di una mente machiavellica. (Difficile pensare il contrario circa il suo conto). E il tempo che concedeva era limitato. Di rado ripeteva gli appuntamenti con gli stessi clienti. Preferiva cambiare affinché loro non si legassero, pretendendo nel tempo condizioni di trattamento economico agevolato e pertanto, alla lunga, nocivo ai suoi progetti di lavoro per il futuro. Il primo, uno studio esclusivamente suo dentro uno stabile rispettabile antico, con il nome in grassetto sulla targa affissa fuori il palazzo in pieno centro. Sogno praticabile considerando le cifre di denaro sborsate per le sue prestazioni erotiche:
«Chiedo dalle 300 alle 450 rose ad incontro. Riesco a fissarne una decina al mese. E l’impegno non si protrae per più di tre ore. Il locale dove intrattenersi, fare la conoscenza di altre donne, non è obbligatorio. Meglio andare a cenare, arrivando prima al dolce, dato che a loro non serve fare bella figura. Salvaguardare l’immagine, munirsi di una donna di bell’aspetto, è solo una scusa per scopare senza impegnarsi in un rapporto serio». A parte il contrattempo di doversi liberare dei regali di lusso che Sofia, e quelle della stessa pasta, ricevevano in supplemento al pagamento pattuito:
«È raro che si presentino a mani vuote. Gli ultimi regali che ho ricevuto sono stati un collier in oro a maglie grosse e una sciarpa in visone. Rivendo molte cose online. Il mio ragazzo sta completando l’iter per partecipare all’esame di Stato, è qualche anno più giovane, potrebbe inquisire. Non guadagno chissà quali cifre con le cause ma, vivendo in due città diverse, ci vediamo poco e questo facilita il mio lavoro di accompagnatrice. È all’oscuro di tutto».