La pensionante

Dati alla mano, sapevo che le sex workers in Italia erano all’incirca centomila e che, al di là dei milioni di clienti sufficienti ad ogni genere di palato, le prostitute “da marciapiede” puntavano il dito proprio contro quelle studentesse e casalinghe o lavoratrici che, in rete, avevano assuefatto i clienti a prestazioni sessuali in fondo non così diverse da quelle fornite dalle squillo più tradizionali, sottraendo loro cospicui guadagni. E Anita, dopo quasi trent’anni a battere in lungo e in largo le strade, conosceva meglio di chiunque altro le difficoltà del sesso ambulante:
«I tempi sono bui anche per noi altre, non credere. Ci guardano male, non ci vogliono tra le scatole e i clienti sono diminuiti. Si sono adeguati ai tempi moderni, fanno sesso su Internet, e i prezzi delle nigeriane sono il colpo di grazia finale. E c’è l’aumento delle connazionali, povere figlie, che hanno perso il lavoro e devono mantenere la baracca, il marito e i figli a 40 anni compiuti a spasso senza un buon impiego statale. Ma io penso che se ti fanno pagare caro droghe e alcool», aveva affermato con ardire la veterana della strada, così la stessa si era definita, «devi pagare il sesso qualcosina in più. Pagano cinque euro un pacchetto di sigarette e, straccioni, vogliono svuotarsi le palle suppergiù allo stesso prezzo».
Clienti destinati a non diventare i loro principi e tantomeno loro delle principesse contente e felici o, al limite, riconoscenti. Non erano in poche a chiarire le cose negli incontri negoziati a scanso di sentimenti che non potevano esserci. «Non lo pensano mai che anche tu hai un uomo e lo ami» ripensando alle parole di Sabrina che mi aveva informata del nuovo lavoro del marito e che, per un po’ di serenità in casa, aveva tagliato il numero degli appuntamenti inventando una scusa plausibile a tenerli buoni semmai le cose fossero tornate a girare male. Ma non sembrava neppure sorprendermi che la favola di qualche prostituita e cliente insieme, quando non tramata d’interesse (da una parte) e necessità fisiche ricorrenti altrettanto materiali (dall’altra), si avverasse per davvero come in un film famosissimo che avevo visto tanti anni addietro. E fu sempre l’altra a spiegarmelo: «Il cliente paga il debito al posto suo. C’è quello che si innamora, perde la testa, ma quelli pericolosi non mancano e, da romeni e albanesi, tutte ci guardiamo. I clienti perfetti sono i tedeschi. Svelti e pratici, mica ti corteggiano. Sarà per questo che la Germania è la capitale mondiale del sesso. O sono solo loro, brutti. Freddi».
La prostituta che era stata Anna a farmi incontrare, sulla strada da molto tempo prima che fossero iniziati i problemi di occupazione per il Paese, non nascose che aveva scelto da sé e per sé “la vita” e che, proprio da quel mestiere, aveva tratto la sua filosofia per un’esistenza discutibile meno ostile. «Io sono convinta che, tassando le prostitute, si potrebbero ripristinare risorse ad un Stato andato a puttane», e un fantastico gioco di parole da non sottovalutare. «Perché io non cambio vita» aveva arringato alla fine, non prendendo mai una volta fiato, prima di imprecare contro un cliente che la faceva aspettare. «Lento pure quando lo facciamo, ma non fa niente, ho scambiato due parole con una ragazza bella e dal cuore originale. Sono contenta di aver parlato». Lei ammise che non aveva mai provato a cercare un’altra occupazione, che lavorava (salvo imprevisti) tutti i giorni da 28 anni a quella parte, ne aveva cinquantatré compiuti e di come, a dispetto della sua esperienza, le cose si fossero complicate anche per una veterana delle strade. «La paura delle retate cresce e le multe per i clienti sono diventate salate. Ma io non ho nulla da spartire con le puttane in cerca di agi, potere e comodità che, alla lunga, non ti fanno stare meglio dentro, splendere per sempre fuori. E oggi, con la crisi, non è diverso dai tempi della guerra. Dici bene tu: la vita non ha mai smesso di tirarsi avanti se, per sopravvivere, è costretta a fare la vita».