Intervista a Maria Bellucci

Com’è cambiato il mestiere più antico del mondo al tempo di internet? Lo racconta Maria Bellucci nel suo “L’incantatrice di numeri”, un libro che fornisce una panoramica sulle nuove tendenze e sulle figure professionali, spesso celate dietro denominazioni elusive, che offrono sesso a pagamento in rete. Ne parliamo con l’autrice.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro nasce in seguito ad un’inchiesta sulle offerte di lavoro caricate in rete. Nello specifico, annunci di casting e selezioni inerenti al mondo dello spettacolo e degli eventi più in generale. Durante gli studi universitari mi è capitato di collaborare con agenzie del settore e, in certe occasioni, percepire le altre situazioni che possono nascondersi dietro parole come attrice, hostess, ragazza immagine…

L’incantatrice di numeri. Perché questo titolo?
Il titolo fa riferimento a Ada Lovelace, figlia del poeta Byron. I suoi studi sono stati fondamentali per la storia del computer ed io, nella mia inchiesta in parte virtuale, ho trovato un nesso pensando così di menzionare la prima programmatrice della storia dell’informatica.

La protagonista del romanzo è una ragazza di nome Mia. Possiamo tracciarne un profilo psicologico?
La protagonista principale, in verità, è nata in un secondo momento. All’inizio ero più interessata a raccontare le storie delle donne che, per un motivo o l’altro, si prostituiscono chiarendo lo slang del sesso in vendita online e i nuovi appellativi guardando alle figure sul mercato. In seguito, ho pensato il personaggio di Mia. Una donna giovane e forte segnata da un’esperienza traumatica che la può accomunare a tutte quelle persone che nascondono ferite sottopelle e per questo, doppiamente dolorose.

Qual è il significato dell’episodio iniziale, le due bambine attirate da un adulto con una scusa nel garage, nell’economia del romanzo?
Il significato del prologo è la chiave di lettura di tutte le scelte della protagonista. Delle sue azioni, perché ognuno di noi è la somma di quello che ci accade e, dinanzi ad una cosa brutta, abbiamo due sole scelte: subirne gli effetti per tutta la vita o reagire facendo, di quella ferita, un’arma con il manico del coltello dalla propria parte in futuro.

Il tuo romanzo è anche un’inchiesta sul mondo della prostituzione vecchia e nuova. Cosa ne emerge?
La necessità di revisionare la legge Merlin che, tuttora, regola la questione nel nostro Paese. Anzi, a tal proposito, possiamo forse parlare di vuoto legislativo considerando una legge del’58 (che vieta ogni luogo chiuso dove si esercita la prostituzione) nell’epoca delle case di tolleranza virtuali. Si guardi alla diffusa e capillare vendita di prestazioni erotiche e sessuali tramite annunci e inserzioni dietro la libera attività editoriale su Internet.

Si può dire che la Legge Merlin abbia fatto il suo tempo?
Sì, specie perché c’è un elemento remunerativo pure quando il rapporto consumato tra le parti contraenti si avvale dell’utilizzo di una webcam senza incontrarsi necessariamente in un luogo fisico. Che, ovviamente, spesso e volentieri, avviene dopo.

Nel tuo libro intervisti una serie di donne che vendono il proprio corpo. Non tutte lo fanno per lo stesso motivo. Puoi elencare le diverse motivazioni che hai rilevato alla base di queste scelte?
È la ragione per cui, nel libro, distinguo puttane, prostitute e prestate. Sul mio sito, www.mariabell.it, attraverso parti di interviste alle donne protagoniste delle interviste, chiarisco le diverse motivazioni attraverso l’utilizzo dei tre termini da me adottati. Perché, quando si affronta la questione della prostituzione, si cade in cliché e generalizzazioni ma va ricordato che, se da una parte c’è chi è realmente costretta esercitando una prostituzione coatta, dall’altra c’è anche chi, al contrario, fa una scelta ben ponderata e del tutto spontanea “offrendo” il proprio corpo in vista di vantaggi di natura economica e sociale. Le motivazioni si possono ricondurre alla fame ma anche all’avidità e alla fama. Fame e fama, due parole che racchiudono motivazioni opposte per confondere puttane e disgraziate.

Parli di varie figure presenti sul web, vuoi darci una panoramica?
Rispondo traendo direttamente un estratto dal mio libro:… All’origine della mia inchiesta ero disorientata da tutto il materiale sui giri di prostituzione in sordina: studentesse, gattemorte non belle e anonime, assistenti personali aperte di mente, camgirl e cam-stripper dette pure webgirl o webcam-girl, e wing woman (accompagnatrici) meglio a dirsi escort quando non si limitavano a fungere da spalla agli uomini che le affittavano per ore se non per giorni interi. E poi c’erano le attrici di cinema e teatro, le hostess per gli eventi di spicco, e tutte le candidate per lo spettacolo e la televisione generalista più in generale, fino ad arrivare alle “cacciatrici di diamanti” dei Paesi post-sovietici che, a caccia di uomini occidentali sprovveduti, quando non mascalzoni, si definivano guide turistiche nelle loro offerte all’interno della casa di tolleranza (virtuale) più grande, sconfinata, da ogni parte del mondo accessibile tramite Internet. E se la mia attenzione si focalizzava sulle ultime disgraziate finite sulle strade, “frontaiole” quando preferivano superare la crisi, mantenere il vecchio tenore di vita, facendo il mestiere nella dolce confinante Suisse, non potevo ignorare le intrattenitrici di sala, ieri chiamate entraîneuse, oggi tavoline…

Cosa pensi di Onlifans, il social network balzato agli onori delle cronache dove giovani donne decidono di fare impresa vendendo la propria intimità ma senza uscire dai confini del virtuale?
Quando ho iniziato a scrivere L’incantatrice di numeri, indagando anche siti e portali facsimili, OnlyFans non era un social network così diffuso. I profili delle donne e delle ragazze iscritte offrono ogni genere di contenuto audiovisivo ma, a “sbirciare” i materiali audiovisivi condivisi, i corpi fanno più da contenitori che da contenuti e di certo, non sono pioniere in questo. Molte usano app “amichevoli”, siti ad hoc, per offrire gli stessi servizi già da molto tempo prima dell’avvento della piattaforma in auge.

Parlaci di te. Chi è Maria Bellucci e cosa fa?
Sono una persona irrequieta e profonda. Ma è sempre difficile dare una risposta circa se stessi. Per definire chi siamo non basta dire cosa facciamo. Credo invece che, per farsi un’idea reale delle persone, la domanda sia piuttosto: cosa ti piace fare? E a me, piace scrivere, perché sono una che scava le cose, “smonta” le situazioni e si fa un’idea di quello che le accade attorno da sé senza condizionamenti esterni o, influenze di sorta. Il romanzo, che tratta la prostituzione, ne è un esempio. Raccontando la vulnerabilità degli uomini che ricorrono a certi servizi, di donne e ragazze che sanno in qualche modo assuefarli, dico anche della loro debolezza. Del sesso forte in mano al sesso debole, offrendo una chiave di lettura diversa del fenomeno.

Hai altri progetti in cantiere?
Sì, una narrazione femminile sul mondo del lavoro che, quando si riduce ad essere soltanto un’occupazione, sottrae felicità alle persone ed è per questo che ho sentito il bisogno di dire che, quello che noi facciamo, non sempre racconta chi realmente siamo. Si parla poco di identità professionale. Di diritto all’identità personale attraverso la possibilità di fare un lavoro che ci piace.